Sant’Anna di Stazzema, la strage del 12 luglio 1944

La complicità, l’omertà e il pietismo fuori luogo di molte persone facilitano i crimini dei delinquenti. Dobbiamo quindi porre fine a queste cose al più presto: con ogni mezzo necessario.

Nell’agosto 1944, i giornali fascisti invocarono la criminalizzazione della Resistenza e denunciarono i “teppisti” (cioè i partigiani) come un pericolo per l’ordine pubblico.

L’Italia centro-settentrionale, invasa dai nazisti, fu poi immersa in un vortice di violenza, anche a causa dello Stato fascista di Mussolini che collaborava con Hitler.

Prima della Liberazione del 25 aprile, i nazifascisti compirono una serie di massacri per diffondere la paura tra i civili.

L’articolo “Sangue innocente” di Simone Cosimelli negli archivi di Focus Storia racconta quei mesi drammatici.

La caduta del regime fascista e l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre 1943 segnarono un periodo difficile per l’Italia.

La penisola fu divisa in due: gli occupanti tedeschi presero il controllo della metà settentrionale dell’Italia, con l’aiuto dei loro alleati fascisti. Nel frattempo, dall’Italia meridionale, le truppe anglo-americane avanzarono a nord verso Roma.

Mentre il re Vittorio Emanuele III abbandonava Roma, la resistenza partigiana nasceva dal basso. Infatti, gli Alleati (Stati Uniti e Regno Unito) gli fornirono protezione mentre fuggiva dalla città.

Le stragi Nazi-fascite

Tuttavia, i nazisti e i fascisti non si arresero facilmente. Al contrario, quando il dominio di Hitler e Mussolini divenne meno sicuro, si trasformò in un orrore quotidiano per coloro che erano costretti a vivere sotto di loro.

I massacri di civili, in particolare, furono spesso utilizzati in modo selettivo per eliminare i dissidenti o i combattenti antifascisti e i loro associati; ma anche come modo per intimidire la popolazione e fare terra bruciata intorno ai partigiani.

Oltre a essere una forma di punizione, la violenza serviva anche come deterrente, scoraggiando altri atti di disobbedienza.

Le violenze sui civili

La semplice esistenza di gruppi partigiani poteva fornire ai nazisti una scusa per attaccare civili innocenti.

I tedeschi consideravano i civili con autentico disprezzo.

Lo storico Marco Palla, già professore ordinario all’Università di Firenze, spiega nel suo libro La roadmap della strategia: “La Strategia Stragista”. “La guerra nazista ai civili, imposta con il sostegno dei fascisti nell’Italia centro-settentrionale, fu incorporata nella strategia militare tedesca”. Il regime dittatoriale è stato caratterizzato dalla brutale soppressione di qualsiasi forma di opposizione.

I massacri assunsero molte forme: rappresaglie, rastrellamenti, fucilazioni e impiccagioni.

Così come gli obiettivi e le aree coinvolte: partigiani o persone a loro legate, personale militare (sia combattenti nemici che prigionieri di guerra), persone che avevano disertato le loro unità – volontariamente o meno – ed ebrei.

Mentre l’esercito cercava di sottomettere la resistenza e di schiacciare le aree occupate, la vita aveva poco valore.

Con l’aumento dell’opposizione diffusa e del sostegno ai partigiani, aumentò anche la ferocia nazifascista.

Per i nazisti e i loro alleati italiani, la libertà era un affronto intollerabile; mettere in discussione l’autorità, la gerarchia e l’ordine portava spesso a una condanna a morte senza appello.

I massacri

Le Fosse Ardeatine (335 vittime), l’eccidio di Marzabotto (1.805) e l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (560) sono oggi ricordati come uno dei peggiori massacri italiani.

Ma molti altri massacri devastarono l’Italia: per citare solo un esempio, quello di Cavriglia (192 vittime) o il massacro del Padule di Fucecchio (174). Oltre a queste uccisioni, erano diffuse le torture e i maltrattamenti; erano frequenti anche le deportazioni con treni che trasportavano gli ebrei verso destinazioni sconosciute – e per qualche motivo lo stupro era sempre riportato come accompagnamento di questa deportazione. Infine, i saccheggi riempirono le città italiane di beni rubati dalle case ebraiche saccheggiate.

Oggi, grazie all’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – un progetto imponente che ha coinvolto più di 90 studiosi – disponiamo di una banca dati che raccoglie e analizza i casi di uccisione intenzionale di vittime indifese.

Dalla primavera all’estate del 1944, sono state registrate più di 23.000 vittime e 5.600 episodi di violenza.

Durante i massacri furono uccisi 12.788 civili e 6.882 partigiani. I nazisti sono stati responsabili del 65% di questi episodi di violenza; i fascisti del 21%; nel 14% in più hanno agito come operazione congiunta.

I rastrellamenti furono 1.704, con 7.406 vittime, e le rappresaglie 975, con 6.215 vittime. Fino alla Liberazione, nell’aprile del 1945, le regioni più colpite furono Emilia-Romagna (4.536 vittime), Toscana (4.413), Piemonte (2.872 vittime), Veneto (2.311 vittime), Campania (1.406), Lombardia (1.188), Friuli- Venezia Giulia (1.098), Lazio (1.060), Liguria (876) e Marche (876).

La virità dimenticata

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la responsabilità dei massacri non è stata chiaramente definita.

le autorità tedesche sono state accusate di crimini di guerra, ma i processi celebrati sono stati pochi e le pene comminate, se mai ci sono state, sono state generalmente lievi.

Le indagini sono state rimandate e molte di esse si sono perse nel dimenticatoio. Sebbene ciò sia avvenuto per ragioni diverse, molto è stato influenzato dal cambiamento dell’ambiente globale, compreso l’inizio della Guerra Fredda.